INPS – La Gente non ha più soldi, rischio rivolta sociale

INPS, rischio rivolta sociale in Italia

«Qui non abbiamo più un soldo. Ma che devo andare a fare le rapine?». Dai famosi 600 euro che il popolo delle partite Iva non ha ancora visto (e siamo all’ inizio del terzo mese di blocco), alla cassintegrazione che doveva rappresentare il paracadute per ammorbidire la chiusura soprattutto delle piccole e micro aziende. Poco o nulla di tutto questo è arrivato. Se non la disperazione tangibile della gente che si riversa sui centralini dell’Inps presi d’ assalto dal popolo dei disperati che non sa a chi altro votarsi. Se non chiamare un call center per lagnarsi della burocrazia.

Al 60° giorno senza un accredito in conto corrente, consumati i pochi risparmi, l’Italia a reddito fisso, e quella che prima tirava la giornata con lavoretti estemporanei e improvvisati, non sa più a che santo votarsi. E allora le telefonate al centralino dell’Istituto si moltiplicano. E le lamentele cominciano a rappresentare la punta di un iceberg di difficoltà diffusa. E se le partite Iva annaspano anche le catene del commercio sono in sofferenza evidente. All’ ottava settimana dall’ inizio del lockdown, le catene del commercio con negozi localizzati in più di una regione – denuncia Confimprese – non hanno ancora ricevuto conferma di accettazione della cassa in deroga. E tanto per non farsi mancare una manciata di ulteriore burocrazia l’ Inps pensa bene ora di richiedere la compilazione di ulteriore modulistica per ottenerne l’ erogazione. «Le imprese del commercio non hanno liquidità», attacca il presidente Mario Resca, «rinunciano a riaprire i negozi, il 30% rischia di non alzare le serrande. Prevediamo un futuro nero che si aggraverà con l’ arrivo dell’ autunno».

 Confimprese che rappresenta oltre 40mila aziende – avverte che oltre l’ 80% delle aziende associate, ha fatto richiesta della cassa in deroga per aziende multilocalizzate, ma l’ 85% di queste non ha ancora ricevuto conferma di accettazione. Il 100% dichiara che la Cigd non è ancora stata erogata. Il picco delle richieste si è verificato nella quinta settimana di chiusura dal 6 al 12 aprile, seguito dall’ ottava settimana. Come se non bastasse, i prestiti bancari arrivano sì, ma a rilento a causa di un meccanismo piuttosto complicato che piuttosto rallenta l’ afflusso di liquidità per tentare di ripartire.

Dalla mattina presto le file davanti ai banchi dei pegni superano l’ imbarazzo di trovarsi in stringente difficoltà. Tanto da non riuscire più a mettere insieme il pranzo con la cena. Scene da cinema neorealista. Con gli italiani a distanza di sicurezza l’ uno dall’ altro ma in pudica colonna davanti al Monte dei Pegni portando oro o gioielli e incassando immediatamente e senza presentare documenti la liquidità per arrivare a fine mese. E magari tornare ad aprire la saracinesca della propria piccola azienda, negozio o attività.

I numeri elaborati da Affide, il leader italiano del comparto certifica una crescita del 30% delle operazioni. Torino, Roma, Milano, Palermo. La gente si mette in fila per chiedere pure piccole somme, spiega il condirettore Rainer Steger. Si cerca di tamponare l’ emergenza come si può. Nella speranza di riprendersi. E infatti il 95% dei beni dati in pegno viene riscattato, mentre il 5% finisce all’ asta. Segno evidente che è la difficoltà contingente a costringere ad impegnare gioielli e beni preziosi.

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